La Social Media Policy (d’ora in avanti SMP) è un regolamento aziendale, quindi un contratto, con il quale si stabiliscono le regole di condotta di chi lavora all’interno di un’azienda a contatto con le piattaforme social. Dal momento in cui viene firmato vale come tutte le altre regole aziendali essendo nell’ambito della fattispecie del contratto.
L’obbiettivo della SMP è quello di evitare che la comunicazione online danneggi le aziende sui social, prevenendo casi di crisi reputazionale tutelando in prima battuta la brand reputation, e inoltre regolamentando le conversazioni e le interazioni sui canali social.
Questa esigenza è scaturita nel corso tempo, stante il fatto che si è passati da un attività “top-down” in cui l’approccio esterno era gestito dalle figure apicali dell’azienda (come il CEO), ad un’attività “bottom-up” in cui gli impiegati e i dipendenti di un’azienda diventano i protagonisti delle comunicazioni social. A tal proposito, si parla di employer branding ossia la percezione che i dipendenti e i collaboratori hanno del brand per il quale lavorano, e di conseguenza sono in grado di trasmettere, attraverso i canali social, gli stessi valori del brand.
Il regolamento di SMP deve essere approvato e sottoscritto da tre soggetti distinti:
– l’amministratore delegato;
– il Direttore del personale/HR;
– rappresentante sindacale.
Essendo un contratto, tuttavia, per essere applicabile in concreto deve essere firmata da tutte le parti coinvolte in azienda.
La SMP può essere interna o esterna. Quella interna si suddivide a sua volta in due tipi: quella che regola l’utilizzo dei social personali durante l’orario di lavoro e quella rivolta ai dipendenti, clienti e fornitori (ma anche gli influencer) che si interfacciano con i canali aziendali attraverso canali ufficiali ma anche con profili privati.
La SMP esterna, invece, regola il social media management, ossia il rapporto tra utenti e addetti interni alla gestione dei social che lavorano e quindi comunicano a nome del brand. A titolo esemplificativo i rischi che attraverso una SMP si vuole evitare sono la diffusione di informazioni sensibili per l’azienda, utilizzo di hashtag diffamatori da parte degli utenti e commenti negativi degli utenti. La SMP detterà quindi delle prescrizioni su come comunicare con gli utenti, come gestire l’attività di moderazione o come trattare i dati personali degli utenti.
Nel caso di violazione del SMP, sicuramente possono essere applicate le nome dell’ordinamento italiano. In particolare si fa riferimento alle norme che prevedono responsabilità civili e penali nei casi di diffusione di notizie false, diffamatorie o tali da ledere i diritti. In secondo luogo possono essere comminate delle sanzioni disciplinari come la multa, la sospensione fino ad arrivare al licenziamento. Infatti, un uso improprio dei social che sia idoneo a ledere la reputazione, l’immagine e la fiducia che l’azienda ripone nei propri dipendenti costituisce causa di licenziamento disciplinare (Cass. 10280/2018 in cui la Suprema Corte, in seguito ad un episodio in cui un dipendente esprimeva su Facebook disprezzo nei confronti dell’azienda, ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa in quanto la diffusione del messaggio attraverso l’uso di un social network costituisce un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiugnere un numero indeterminato di persone).
Per concludere, è necessario che un’azienda che utilizza lo strumento delle piattaforme social, si doti di una Social Media Policy, al fine di prevenire spiacevoli “incidenti”, disciplinando in modo specifico utilizzo del social network da parte dei propri dipendenti.
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