L’ordinamento italiano non riconosce all’animale, sia questo animale da compagnia o animale tenuto a scopo essenzialmente di lucro, la natura di soggetto di diritto. Questo porta che l’operatore del diritto può ricomprendere gli animali della categoria delle res immateriali.
Nonostante ciò, è altrettanto inconfutabile il fatto che gli animali sono esseri senzienti che, in quanto dotati di raziocinio, vengono necessariamente a distinguersi agli occhi umani dalle cose inanimate. Indubbiamente, dunque, la considerazione che l’uomo ha dell’animale è mutata nel tempo.
Dinnanzi a questa evoluzione ontologica e sociale, il legislatore comunitario e quello italiano non sono rimasti inerti.
All’interno della Dichiarazione universale dei diritti dell’animale del 1987 si legge all’art. 1 che « Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza» riconoscendo a questi, seppur implicitamente, uno statuto che necessariamente si differenzia da quello delle res.
Ancora, nella Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia nel 1987 e ratificata dal parlamento italiano con legge 4 Novembre 2010 n. 210, si legge al primo comma dell’art. 3 che « Nessuno causerà inutilmente dolori, sofferenze o angosce ad un animale da compagnia.»
Ed ancora, il TFUE all’art 13 riconosce esplicitamente all’animale la qualifica di “essere senziente” delle cui esigenze l’Unione e gli Stati membri devono necessariamente tener conto.
- A livello nazionale, due sono gli interventi del legislatore italiano meritevoli di menzione:
Il primo concerne la legge 14 Agosto 1991, n. 281, il cui art. 1 prevede che « Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l’ambiente». - Il secondo è rappresentato dalla legge 20 Luglio 2004 n. 189, attraverso la quale il legislatore mediante l’introduzione nel codice penale del titolo IX bis, titolato « Dei delitti contro il sentimento per gli animali » ha predisposto quattro fattispecie penali volte a reprime l’uccisione e il maltrattamento d’animali, nonché l’impiego di quest’ultimi in combattimenti o manifestazioni non autorizzate.
Ciò premesso, diviene possibile affermare che è anacronistica quella corrente di pensiero che identifica lo statuto esistenziale dell’animale con quello della res immateriale; nonostante ciò, in mancanza di un intervento mirato da parte del legislatore italiano, l’animale deve necessariamente essere ricompreso nella categoria delle res; ciò comporta la necessaria negazione in capo a questo della qualifica di soggetto di diritto e la conseguente applicazione all’animale della disciplina disposta dal legislatore per i beni.
In tema di risarcibilità del danno, per quanto concerne la risarcibilità del danno patrimoniale da morte o ferimento dell’animale d’affezione, non si pongono particolari problemi; così, nell’ipotesi in cui venga ucciso l’animale da compagnia, alla parte lesa, sotto la voce del danno emergente, sarà accordato il risarcimento del danno rappresentato dal costo dell’animale ucciso, cumulato a quello delle possibili spese veterinarie sostenute dall’attore; mentre sotto la voce del lucro cessante, il soggetto leso potrà vedersi risarcire il danno identificabile nel mancato guadagno che la morte dell’animale gli ha causato.
Più spinosa appare invece la questione concernente la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente alla morte dell’animale.
Nel 2007 la Corte di Cassazione è intervenuta sul punto negando la sussistenza del danno non patrimoniale vista l’impossibilità di ricondurre la lesione del rapporto affettivo tra uomo e animale da compagnia nel novero delle lesioni di interessi costituzionalmente protetti. Su questa scia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con le sentenze di San Martino del 2008, hanno negato la risarcibilità dei c.d. danni bagatellari, nella cui categoria rientra il danno subito da colui che viene privato dell’animale da compagnia. Nello specifico, la Suprema Corte paragona tale danno a quello patito dalla sposa alla quale si rompe il tacco della scarpa durante la celebrazione del matrimonio e al danno non patrimoniale procurato dall’attesa che il turista, al quale viene rimandato il volo in aeroporto.
Innegabilmente, il paragone effettuato dalle S.U. tra il rapporto che vanta l’uomo rispetto al proprio animale da compagnia e il rapporto che ipoteticamente può venire a costituirsi tra la sposa e un paio di scarpe con il tacco, desta una certa perplessità e appare anacronistico.
Nel 2009, la sezione III della Corte di Cassazione, al fine di ritagliare all’interno del panorama legislativo italiano uno spiraglio volto a concedere alla parte lesa la risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione sancì che nei giudizi di competenza del giudice di pace, stante la possibilità di quest’ultimo di giudicare applicando l’equità, al giudice onorario non sarebbe stata preclusa la possibilità di accordare il risarcimento del danno non patrimoniale al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
A fronte di questa pronuncia, accordando la tutela risarcitoria ai soli soggetti le cui cause instaurate non eccedono il valore di millecento euro, si palesa una discriminazione tra chi decide di ricorrere al giudice di pace e chi decide di ricorrere al Tribunale. Le statuizioni presenti in tale decisione non hanno trovato nessun seguito nella giurisprudenza italiana.
Di conseguenza, in Italia, al fine di legittimare la risarcibilità del danno non patrimoniale da morte dell’animale d’affezione, stante la visione costituzionalmente orientata data all’art. 2059 c.c. dalle Sentenze di San Martino, è necessario ricondurre il rapporto d’affezione tra uomo e animale nel novero dei diritti costituzionalmente garantiti. La giurisprudenza di merito ha intrapreso due strade:
- comprendere il rapporto uomo-animale all’interno delle situazioni giuridiche costituzionalmente protette per il tramite della clausola aperta dell’art. 2 Cost.;
- tutela della lesione del rapporto di proprietà che il padrone vanta nei confronti dell’animale ai sensi dell’art. 42 Cost e art,.7 CEDU letto in combinato disposto con l’art. 6 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea.
Entrambe queste tesi, però, sono state sottoposte a critica da parte della dottrina.
In conclusione, dalla disamina effettuata sembrerebbe che in caso di morte o lesione dell’animale d’affezione alla parte lesa non potrà mai essere accordato il risarcimento del danno non patrimoniale, ma in realtà non è così.
In primis, se il comportamento posto in essere costituisce reato, allora il danno non patrimoniale sarà risarcibile stante il disposto dell’art. 185 c.p.
Nei casi in cui, invece, non sia integrata nessuna fattispecie incriminatrice e la parte lesa riesca a dimostrare mediante l’allegazione dei fatti in processo l’insorgenza di una vera patologia suscettibile di accertamento medico legale al giudice sarà concesso accordare a quest’ultima il risarcimento del danno biologico. Quest’ultimo infatti trova la propria legittimazione nella lesione all’integrità psico-fisica che ha subito il soggetto leso quale conseguenza del fatto illecito posto in essere dal convenuto.
Nel caso in cui il padrone dell’animale riesca a dimostrare che dalla morte, ad esempio del cane, sia effettivamente scaturita una lesione concernente il proprio diritto alla salute ex art. 32 Cost. al giudice non resterà che risarcire i danni non patrimoniali da questo sofferti.
Si noti bene che nella casistica giurisprudenziale, ad esser risarcito è sempre il danno non patrimoniale scaturente dalla lesione del diritto alla salute della parte lesa e non il danno scaturente dalla lesione del rapporto affettivo che il padrone dell’animale vantava in riferimento a quest’ultimo. Infatti, al giorno d’oggi, in nessun caso può esser ritenuto risarcibile il danno da lesione del legame affettivo instaurato tra uomo e animale. Potrà esserlo solo previo intervento del legislatore, al quale spetterebbe prevedere, tramite apposita norma di legge, la risarcibilità del danno da lesione del rapporto d’affezione istituitosi tra l’uomo e il proprio animale da compagnia.
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