Come ormai noto, con il DPCM del 08.03.2020 sono state vietate tutte “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali”, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.
Il contenuto percettivo di tale norma, di cui inizialmente era dibattuta l’applicabilità alle assemblee condominiali, è stato poi specificato dal Governo che, nelle proprie F.A.Q., ha avuto modo di chiarire che, sulla scorta del divieto sopra richiamato, dovevano ritenersi vietate anche “le assemblee condominiali, a meno che non si svolgano con modalità a distanza, assicurando comunque il rispetto della normativa in materia di convocazioni e delibere”.
Tale provvedimento ha, pertanto, portato all’annullamento di numerose assemblee condominiali convocate nei giorni e nei mesi successivi all’emanazione dello stesso e, contestualmente, ha dato vita a forti dubbi circa la validità delle assemblee condominiali celebrate in videoconferenza.
Sul punto, infatti, si vuole osservare che l’art. 66, comma 3°, disp. att c.c. prevede che “l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati”.
Il combinato disposto dell’articolo sopra richiamato e delle ulteriori disposizioni (in particolare l’art. 1136 c.c.) che menzionano espressamente gli “intervenuti” in assemblea, ha consentito nel tempo di ritenere come pacifico il fatto che l’Assemblea dovesse necessariamente svolgersi in un luogo fisico, alla presenza contestuale degli “intervenuti” sul posto.
Tale posizione, peraltro, è stata avvallata anche dalla Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 14461 del 1999 ha avuto modo di affermare che l’assemblea deve essere convocata in un luogo “fisicamente idoneo a consentire a tutti i condòmini di parteciparvi”, così rendendo evidente la necessità dello svolgimento “fisico” e non da remoto della stessa.
A questo, peraltro, deve aggiungersi, altresì, l’art. 66 sopra citato è espressamente ricompreso dall’art. 72 disp. att c.c., tra quelle norme c.d. inderogabili, ovverosia non superabili e/o modificabili nemmeno da un regolamento contrattuale o una deliberazione assunta all’unanimità.
Attesi i contenuti delle norme sopra richiamate, pertanto, pare di difficile applicazione lo strumento della teleconferenza per la celebrazione delle assemblee condominiali e tale scetticismo non viene superato, nemmeno, dalle argomentazioni utilizzate da una parte della dottrina per arrivare ad un’applicazione analogica della normativa societaria. Sul punto, infatti, si osserva che un’interpretazione di tipo sistematico porta comunque a ritenere che la specialità delle norme sopra ricordate in tema di assemblea condominiale porta ad escludere l’ipotesi che la convocazione e lo svolgimento delle stesse in videoconferenza o in collegamento da remoto possa ritenersi possibile o consentita attraverso il ricorso all’applicazione analogica di norme riferite al diritto societario.
In attesa di un intervento chiarificatore sul punto da parte del Governo, infatti, risulterebbe quantomeno azzardato procedere con lo svolgimento di assemblee in videoconferenza atteso il fatto che, in caso di delibera assunta con tali metodologie sarebbe elevato il rischio di impugnazione con conseguente dichiarazione di annullamento, o addirittura di nullità, della stessa.