Come già visto in un precedente articolo, il Decreto “Cura Italia” ha previsto la copertura Inail per gli assicurati che contraggono un’infezione da coronavirus “in occasione di lavoro”.
Pertanto in caso di contagio di un dipendente durante lo svolgimento di attività lavorativa, il datore di lavoro che non abbia prestato tutte le attenzioni del caso, può incorrere in responsabilità penali di vario tipo. I reati ipotizzati possono essere sia le lesioni colpose gravi o gravissime a norma dell’art. 40 del codice penale ovvero anche l’omicidio colposo dettato dall’art. 589 del codice penale, aggravati, nel caso in cui venga rilevata in sede d’indagine la mancata adozione di misure necessarie a prevenire il rischio di contagio dei lavoratori, dalla violazione delle norme antinfortunistiche
Sul punto, infatti, si osserva che il datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2087 c.c., è tenuto a svolgere una funzione di garanzia dell’integrità fisica dei propri dipendenti. Detto concetto generale è stato, poi, specificato e normativizzato dalle disposizioni del D.Lgs n.81/2008 (T.U. Salute e Sicurezza sul lavoro) che, per quello che qui ci interessa, all’art. 18 detta una serie di obblighi a carico del datore di lavoro tra cui: 1) fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il RSPP e il Medico Competente; 2) richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza e igiene sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione; 3) adottare misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza; 4) informare i lavoratori dei rischi e delle disposizioni prese in materia di protezione; 5) astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un rischio grave e immediato.
La violazione degli obblighi previsti dall’art. 18 sopra citato, peraltro, non esaurisce l’elenco degli articoli del T.U. la cui violazione potrebbe ravvisare effetti penali i capo al datore di lavoro tanto che la colpa specifica potrebbe essere individuata anche in caso di omessa o insufficiente vigilanza sanitaria (art. 41 D. Lgs. 81/08), o in relazione alla violazione dell’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi (art. 17 D. Lgs. 81/08) e, in particolare, della valutazione del rischio biologico (art. 271 D. Lgs. 81/08).
Oltre a quanto appena detto, specifico rilievo, in caso di azione penale nei confronti del datore di lavoro in caso di lesioni o omicidio colposo di un dipendente, verrebbe ad avere anche la recente normativa emergenziale che, con l’art. 2 comma 6, del DPCM 26 aprile 2020 ha imposto alle imprese di rispettare “i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali”. Vale a dire rispettare, tra le altre, le regole sulle informazioni da fornire ai dipendenti, sulle modalità e gestione degli ingressi e uscite dall’azienda, sull’accesso dei fornitori esterni, pulizia e sanificazione, sulle precauzioni igieniche personali e dispositivi di protezione individuale, sulla gestione degli spazi comuni e organizzazione aziendale, nonché sulla gestione di una persona sintomatica e sulla sorveglianza sanitaria.
In definitiva, se l’imprenditore, o meglio il datore di lavoro, investito degli obblighi sopracitati non si attiva per impedire il contagio da coronavirus, allora si profila per lui una condotta omissiva penalmente rilevante ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p. nel caso in cui sia possibile ravvisare un nesso di causalità tra la sua inerzia e l’evento-contagio e, forse aspetto più difficile da provare, se sia fornita la dimostrazione che l’infezione sia avvenuta “in occasione di lavoro”.
Nonostante le difficoltà connesse alla prova del nesso causale e del contagio avvenuto in azienda (il cui onere ricade sulla “pubblica accusa”) si rileva che, la violazione delle disposizioni del D. Lgs. 81/08 sopracitate può integrare di per sé – ovvero a prescindere dalle lesioni o dalla morte del lavoratore – delle fattispecie contravvenzionali punite con la pena dell’arresto o dell’ammenda. Tali ipotesi di reato sono estinguibili mediante oblazione in sede amministrativa con il pagamento di una somma pari ad un quarto del massimo della ammenda (D. Lgs. 758/94) o dinanzi al Giudice Penale con il pagamento una sanzione pecuniaria pari ad un terzo (art. 162 c.p.), o alla metà (art. 162 bis c.p.), del massimo della pena prevista per la singola violazione.
Precisato quanto sopra in tema di violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, infine, è indispensabile segnalare che, in caso di lesioni o morte di un dipendente a causa di un contagio da coronavirus contratto sul luogo di lavoro potrebbe, altresì, rilevarsi (oltre alla responsabilità penale e personale del datore di lavoro) anche un’ipotesi di responsabilità amministrativa dell’ente ex art 25 septies D. Lgs. 231/2001, con la possibilità di applicare allo stesso, in caso di condanna, sanzioni (i) pecuniarie (che, in caso di omicidio colposo, possono arrivare fino a 1,5 milioni di Euro) e (ii) interdittive (es. interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione/revoca autorizzazioni, esclusione agevolazioni ecc.).
Nel caso di specie, in ogni caso, per poter ritenere sussistente la responsabilità dell’ente dovrà darsi prova della mancata adozione di idonee misure volte a prevenire il contagio tra i dipendenti nonché la commissione del reato (lesioni o omicidio colposo) nell’interesse o a vantaggio dell’ente (come ad esempio in caso di mancata adozione di tali misure pur consentire un risparmio economico alla società).
In un tale contesto, pertanto, il datore di lavoro e le aziende in generale, al fine di quantomeno limitare le ripercussioni penali in caso di contagio tra i propri dipendenti, dovranno dotarsi di uno specifico protocollo “anti-covid” che cali nella concreta realtà aziendale il protocollo firmato da Governo, sindacati ed imprese ed allegato al DPCM 26.04.2020.