Come si è avuto modo di vedere negli articoli precedenti, chiunque risulti positivo al Covid-19 è obbligato ad un periodo di quarantena che, se non rispettato, comporta l’imputazione, salvo che il fatto costituisca violazione dell’art. 452 c.p., per il reato di cui all’art. 260 delle Leggi Sanitarie.
Premesso che tutte le situazioni configuranti un’ipotesi di violazione di tale rato dovranno essere analizzate caso per caso alla luce degli elementi caratterizzanti il singolo o la singola persona accusata del reato, in questo articolo si vogliono portare all’attenzione gli elementi generali costituenti la figura delittuosa dell’epidemia colposa che, in caso di violazione dell’obbligo di quarantena, potrebbe essere contestato quale “più grave reato” commesso dall’agente.
Il reato di epidemia colposa è previsto nel nostro ordinamento dal combinato disposto degli artt. 438 e 452 c.p. dai quali si ricava che “Chiunque per colpa cagiona una epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, è punito con la reclusione da 3 a 12 anni”.
Il bene giuridico tutelato da tale norma è l’incolumità e la salute pubblica e trattasi di un delitto il cui elemento soggettivo è la colpa, con ciò significando che possono essere punite tutte quelle condotte dell’agente tacciabili di negligenza, imprudenza, imperizia, ovvero inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
In altre parole la realizzazione dell’illecito penale non sarà determinata da una volontà criminale consapevole, bensì dalla violazione di una regola di giusta condotta per mancanza di attenzione, sventatezza, mancanza di abilità, tecnica o esperienza.
Tale ipotesi delittuosa, negli anni, ha trovato rara applicazione in giurisprudenza tanto che ancora oggi risulta dibattuta, principalmente in dottrina, la natura di reato di pericolo ovverosia di danno dello stesso.
L’orientamento maggioritario milita nel senso di ritenere che la fattispecie sarebbe caratterizzata “sia da un evento di danno, rappresentato dalla concreta manifestazione, in un certo numero di persone, di una malattia eziologicamente ricollegabile ai germi patogeni, sia da un evento di pericolo, rappresentato dall’ulteriore propagazione della malattia a causa della capacità dei germi di trasmettersi ad altri individui anche senza l’intervento dell’autore della originaria diffusione”.
Su quest’ultimo punto, peraltro, si segnala una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha avuto modo di precisare che, contrariamente a quanto sostenuto in passato, il reato di epidemia colposa può configurarsi non solo quando un soggetto diffonda germi patogeni di cui era in possesso ma anche qualora “la diffusione dei germi patogeni avvenga per contatto diretto fra l’agente, che di tali germi sia portatore, ed altri soggetti” con l’ulteriore, già precisato, requisito che “da un tale contatto debba derivare la incontrollata e rapida diffusione della malattia tra una moltitudine di persone”.
Tenendo a mente tutte le considerazioni appena svolte, pertanto, è possibile sostenere che non tutte le condotte di chi, pur consapevole di essere positivo al Covid-19, violi l’obbligo di permanenza domiciliare potranno essere punite ai sensi dell’articolo in commento.
Al fine di una corretta imputazione per tale ipotesi delittuosa, infatti, dovrà svolgersi un doppio accertamento riferito sia alla manifestazione di una patologia eziologicamente connessa alla condotta del soggetto attivo sia alla verificazione del concreto pericolo che la malattia si propaghi ad un numero potenzialmente illimitato di altri soggetti in ragione della capacità di trasmissione degli agenti patogeni.
In assenza di tali requisiti (quando, ad esempio, l’evento dannoso riguardi un numero esiguo di persone, o vi sia una scarsa potenzialità di diffusione dell’agente patogeno) non sarà configurabile il reato di epidemia.
Così descritti gli elementi costituitivi del reato di cui all’art. 452 c.p. si vuole, da ultimo, evidenziare come per la sua configurabilità sia richiesta una condotta attiva da parte dell’agente.
Come precisato dalla Corte di Cassazione, infatti, la responsabilità per il reato di epidemia colposa non è configurabile a titolo di omissione: “in tema di delitto di epidemia colposa, non è configurabile la responsabilità a titolo di omissione in quanto l’art. 438 c.p., con la locuzione “mediante la diffusione di germi patogeni”, richiede una condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto dell’art. 40, comma 2, c.p., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera.” (Cassazione penale sez. IV, 12/12/2018, n. 9133).
