Il DPCM n. 19/2020 ha precisato che la condotta dei soggetti che violino l’obbligo di quarantena loro imposto dalle Autorità, attesa la positività al Covid-19, sarà punita, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, Testo unico delle leggi sanitarie, che, a seguito della modifica operata con il comma 7 del DPCM, prevede che “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l’ammenda da € 500,00 ad € 5.000,00”.
La disposizione appena citata, tuttavia, rende necessario svolgere alcune precisazioni in ordine alla configurabilità dell’illecito sopra citato e l’applicabilità di tale fattispecie nei casi di mancato rispetto dell’obbligo di quarantena.
Il disvalore penale della condotta integrante la contravvenzione in parola deriva dall’inosservanza di un ordine dell’autorità emesso al fine di “impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo” che può consistere sia in un’azione sia in un’omissione, a seconda delle modalità concrete del comportamento imposto dal provvedimento.
Il reato in commento, inoltre, rientra nella categoria dei c.d. reati di pericolo, la quale ricomprende tutti quei reati in cui non è richiesta la concreta lesione del bene bene giuridico tutelato risultando sufficiente che la condotta posta in essere sia idonea a mettere in pericolo lo stesso.
In altre parole, nel caso di specie potranno essere punite tutte quelle condotte che risulteranno astrattamente idonee a “mettere in pericolo” la salute pubblica senza che sia richiesta la concreta lesione di tale bene. Sul punto, tuttavia, giurisprudenza e dottrina sono concordi nel ritenere che il Giudice sarà, in ogni caso, chiamato a valutare le circostanze concrete della violazione posta in essere dal soggetto agente in modo da poter stabilire se il fatto era in grado di esporre a pericolo la salute pubblica mediante concreta possibilità di contagio di un numero indeterminato di persone.
Analizzati gli aspetti generali del reato previsto dall’art. 260 del Regio Decreto, è ora indispensabile precisare che, nel caso di contestazione del reato a soggetti che violino l’obbligo di quarantena di cui al DPCM, il soggetto attivo (colui che commette il reato) può essere soltanto la persona sottoposta alla misura della quarantena perché risultata positiva al virus.
Dalla lettura delle disposizioni contenute nel DPCM riferite all’ipotesi contravvenzione in commento, peraltro, sembra ricavarsi che, al fine della contestazione dell’illecito in oggetto, sia necessario, per l’operatività del divieto di allontanamento dalla propria abitazione, non solo che l’interessato sia risultato positivo, ma anche che costui sia stato destinatario di un provvedimento amministrativo con il quale, verificata la positività a seguito dell’esecuzione degli accertamenti sanitari del caso, egli sia stato sottoposto alla quarantena.
Ciò posto, il primo problema che emerge da un’analisi dei provvedimenti emanati negli ultimi mesi leggi all’emergenza Covid-19 riguarda la mancata previsione e/o regolamentazione di un procedimento amministrativo volto all’emanazione di un provvedimento limitativo della libertà personale nei confronti del soggetto risultato positivo, avente quale contenuto l’obbligo di quest’ultimo di rimanere presso la propria abitazione per un tempo specificato e determinato, per ragioni di salute pubblica correlate al rischio di contagio. In altri termini, non esiste nella normativa un provvedimento di sottoposizione del positivo alla quarantena, sicché già sotto questo profilo il reato, consistente nella violazione della misura come imposta da un eventuale provvedimento ad hoc, non sussisterebbe.
Alle medesime conclusioni, peraltro, si giungerebbe anche se dall’analisi delle norme del DPCM si addivenisse alla conclusione che non sia necessario un provvedimento espresso di sottoposizione alla misura della quarantena, ritenendo sufficiente, per la sussistenza di tale obbligo, il mero accertamento della positività al tampone letta in combinato disposto con l’obbligo contenuto nel provvedimento generale ed astratto emesso dal Governo (ovvero il DPCM).
Ebbene, anche in tal caso mancando un controllo dell’autorità giudiziaria sulla limitazione alla libertà personale imposta al positivo, risulterebbe violato il principio di riserva di giurisdizione (principio giuridico che prevede che per la disciplina di particolari materie, soprattutto per decisioni che attengono alla restrizione della libertà dell’uomo, possa intervenire solo ed esclusivamente l’autorità giudiziaria) con la conseguenza che un siffatto regolamento generale potrebbe ritenersi illegittimo.
Per tali motivi, sia l’assenza di un provvedimento amministrativo ad hoc sia l’illegittimità della disposizione generale contenuta dpcm per violazione della riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 Cost. (con la conseguente necessità di disapplicazione dell’atto amministrativo) potrebbero consentire di affermare l’inapplicabilità del reato contravvenzionale previsto dall’art. 260 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 ai casi di inosservanza dell’obbligo di permanenza domiciliare per i soggetti positivi al Covid-19.